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Foibe: l'orrore diventa racconto

I nomi, i luoghi, i documenti forniti in un saggio da Guido Rumici
È ancora impossibile tracciare un bilancio della tragedia

Era l'11 di settembre del 1943. Diretto da Trieste ad Albona Piero Millevoi, che da giovane aveva militato nel movimento irredentista e perciò fu accusato dalla polizia imperial-regia di cospirazione contro l'Austria, venne fermato alla stazione ferroviaria di Pisino dai partigiani che, riconosciutolo, gli chiesero di andare con loro.

"Fu condotto - racconta il figlio - nelle celle del castello dei Montecuccoli ed ivi rinchiuso. La cosa si riseppe in città. Giovanni Flaminio da Montona, che gestiva a Pisino la trattoria "Al Giardinetto", di fronte al caffè Depiera, dov'era la fermata delle corriere, gli portò più volte il pranzo in prigione finché un giorno si sentì dire che "non occorreva più".

"Nelle prime ore del 19 settembre 1943, ancora col buio, partì dal piazzale antistante il castello di Pisino una corriera con i vetri dei finestrini imbiancati, perché non si potesse riconoscere la strada, e si diresse verso Lindaro fino a una cava di bauxite nei pressi di Santa Apollonia, dove ventitré persone furono fatte scendere e fatte spogliare di tutti gli indumenti, perché in seguito non potessero essere riconosciute.

Tra loro c'era don Angelo Tarticchio, contro il quale i partigiani si accanirono: fu poi ritrovato con una corona di spine sul capo come Nostro Signore. Don Angelo riuscì a impartire l'assoluzione ai suoi compagni, prima che i partigiani li ammazzassero tutti con i mitra. Poi i corpi furono ricoperti con la bauxite ammucchiata a lato della cava e pronta ad esser caricata sui camion".

Queste sono soltanto due delle tante testimonianze che Guido Rumici ha raccolto nel suo nuovo libro intitolato "Infoibati (1943-1945). I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti" edito da Mursia (pagg. 500, Euro 19,90, con ampia e spesso raccapricciante documentazione fotografica).

Com'è noto tra il settembre del 1943 e la primavera del 1945, nei territori della Venezia Giulia occupati dal Movimento Popolare di Liberazione Jugoslavo del maresciallo Tito, migliaia di uomini e donne scomparvero nelle foibe, le cavità naturali che si aprono sul Carso.

Ancora oggi è impossibile tracciare un bilancio definitivo di ciò che avvenne. A questo ha cercato di porre rimedio, almeno in parte, lo storico Guido Rumici - già autore, sempre per Mursia, del libro "Fratelli d'Istria", una delle opere più complete sulla minoranza italiana d'oltre confine - che ha raccolto documenti di fonte jugoslava, inglese e italiana. Una documentazione vasta ma purtroppo incompleta, come onestamente premette in prefazione l'autore, perché non sono ancora accessibili tutti gli archivi jugoslavi.

Nell'opera vengono ricostruiti il contesto storico nel quale è maturato il dramma delle foibe (termine con il quale peraltro si indicano tutte le sparizioni avvenute in quel periodo), i rapporti tra comunisti italiani e slavi, le uccisioni e gli infoibamenti dal 1943 in poi, i ritrovamenti del periodo bellico e del dopoguerra, i silenzi di Stato: un lavoro di ricerca senza precedenti che compone una pagina oscura della nostra storia e che, senza pregiudizi ideologici, ridà voce alle vittime delle foibe.

an.d.g. (da "Il Piccolo" di Trieste del 5 giugno 2002)

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